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Chi comanda qui?

Scritto da Florian Anderhub | 16 lug 2025

Il digitale ha moltiplicato le possibilità, ma anche la complessità. Oggi il vero rischio non è non esserci. È esserci ovunque, senza una regia.

Tutte le aziende oggi sono digitali. O almeno, così credono. Un sito, una newsletter, un CRM attivo a metà. Un profilo LinkedIn, qualche sponsorizzata su Google. I dati si raccolgono, gli strumenti ci sono. A un primo sguardo, tutto sembra al proprio posto. Ma spesso si tratta di isole: piattaforme che non si integrano, processi ridondanti, contenuti incoerenti. Il marketing ignora cosa fa il commerciale. Il sito racconta un’identità diversa da quella che appare nei social. I dati esistono, ma non diventano direzione.

Negli ultimi anni, il digitale è stato reso accessibile. Tool per ogni esigenza, sistemi no-code, intelligenze artificiali pronte a generare contenuti. Sembra tutto semplice. Ma è un’illusione. Attivare strumenti non significa governare un sistema. E ogni sistema disconnesso ha un costo nascosto: decisioni basate su percezioni, non su insight. Lead che si disperdono. Campagne che non convertono. Funnel interrotti senza che nessuno se ne accorga. Non è inefficienza. È inconsapevolezza.

C’è un paradosso che pochi vedono. Il digitale è l’unico ambiente dove tutto può essere misurato. Ogni interazione lascia traccia, ogni contenuto genera dati. Eppure, è proprio questo il potenziale più ignorato. La maggior parte delle aziende costruisce property digitali – siti, CRM, newsletter – ma non le mette a sistema. Non misura, non analizza, non comprende. Si pensa che il digitale serva per fare di più, più velocemente e a minor costo. Ma il suo vero valore è nella misurabilità. E questo valore si sprigiona solo se si parte da una domanda chiara: cosa vogliamo ottenere, e come verifichiamo di esserci riusciti?

Governare un ecosistema digitale richiede però competenze distribuite: scrittura, design, sviluppo, strategia, dati. Il tuttologo digitale non esiste. Ed è pericoloso continuare a cercarlo. Non solo perché nessuno può padroneggiare tutto, ma perché è raro che un’azienda riesca ad attrarre, coordinare e far dialogare internamente tutte queste figure in modo efficace. È proprio qui che, spesso, rivolgersi a consulenti esterni strutturati fa la differenza: realtà che hanno già messo a sistema competenze diverse, capaci di ragionare in modo integrato e orientato al risultato.

Serve definire obiettivi concreti, indicatori leggibili, strumenti integrati. Serve un termometro condiviso, che permetta di identificare rapidamente le aree critiche, i colli di bottiglia, le opportunità di ottimizzazione. Senza questa regia, ogni team lavora su metriche proprie. E l’azienda perde coerenza.

Strumenti come HubSpot, ad esempio, consentono di consolidare l’intero funnel – dal primo clic alla trattativa chiusa – in un’unica piattaforma. Non solo facilitano la governance, ma offrono una visione unica e immediata di cosa sta realmente accadendo. È lì che il digitale comincia a creare valore: quando diventa leggibile.

Nessuno affiderebbe i propri soldi a un dilettante. Nessuno si farebbe operare da un autodidatta online. Eppure, troppo spesso, le fondamenta digitali delle aziende vengono gestite senza visione, senza metodo, senza controllo. Ma il digitale non è un esperimento. È un’infrastruttura. E va trattata come tale.

Perché oggi, la vera competenza non è sapere tutto. È sapere come tenere tutto insieme.

 

Articolo pubblicato su Ticino Management luglio 2025 - Eureka, Digital